Renzi, il referendum e il polverone inutile

di Umberto Cogliati
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Polvere

Ora che il polverone alzato sul referendum del 4 dicembre si è abbassato, ancora tante cose ci sono da dire, elementi di riflessione importanti che riguardano la struttura, le regole e il ruolo delle istituzioni, l’apporto che a queste dovrebbero poter dare i cittadini e il rimbalzo che di essi dovrebbe ritornare dalle pubbliche istituzioni. In una parola: la democrazia; vocabolo a parole sempre invocato, sempre esaltato, ma spesso travisato e anche abusato. Coi tempi che corrono, parlare di queste categorie è parlare nella carne viva della vita del Paese; uno specchio che, proprio nella fase del referendum, fenomeno che ha interessato l’universo della popolazione, esige che se ne parli non per segmenti, ma con analisi che coinvolgano anche le persone, tutte, per il diritto che hanno di essere rappresentate e non dimenticate.

L’esagerato baccano sul SI e sul NO al referendum, avrebbe meritato una posta in gioco di maggior valore: “aiutare” a crescere una democrazia che non cresce più, non solo, ma viene in maniera fin troppo evidente, presa a prestito per obiettivi e disegni che con quella hanno poco a che fare.

L’oggetto della contesa era la Costituzione, ossia quell’insieme di principi che, nelle intenzioni di chi l’ha scritta (siamo nel 1947), dopo il fascismo, dopo una immane guerra mondiale, da noi conclusasi con la fase della Resistenza che fu un grande sacrificio di popolo per poter avviare la semina di un Italia più libera, più giusta, e democratica, sarebbe dovuta servire a restituirci una democrazia vera perché conquistata.

E’ stato così? Siamo a settant’anni da quei giorni e, sulla Costituzione ancora succede di tutto. A parte la distinzione che usa fare tra la prima parte e la seconda parte della Costituzione, per affermare che la prima parte non si tocca, e detta così sembrerebbe giusto, ma in verità quel “non toccarla” è spesso di comodo, perché occorrerebbe aggiungere, e la cosa cambierebbe, che sta bene non toccarla, ma che bisognerebbe attuarla e rispettarla; ma su questo per lo più si tace.

Basterebbero pochi indicatori, presi a caso, per capire quella spesso artificiosa confusione: il diritto al lavoro (art.4, parte prima), la regola democratica interna ai partiti (art. 49, parte prima), la condizione rieducativa nelle carceri (art.27, parte prima), oppure, andando un po’ all’indietro, ricordiamo come le Regioni siano state istituite ben 23 anni dopo (1970) l’approvazione della Costituzione. Insomma, la “Costituzione più bella del mondo”, la si guarda e la si usa anche come giocattolo per fini altri. La Costituzione è giusto che la si aggiorni per adeguarla ai tempi mutati, ma dove contiene principi che sono un precetto, non si risolve ignorandola.

Stiamo dicendo che la riforma che ha diviso l’Italia in due, nella sostanza era parziale e ambigua, e questo perché tutte le forze politiche si sono “accordate” di lasciar correre buchi e inadempienze della prima parte della Costituzione e litigare forte su elementi che consentissero il litigio, divenuto il fine del referendum.

E’ qui che si annida il dilemma di quel referendum: litigare nei “piani alti” della politica presumendo, ciascun litigante, di ottenere dal popolo supporto alle proprie tesi. E il popolo, che in testa aveva altro, ha risposto d’impulso: NO a tutto!

Infatti, si chiamava un intero Paese ad esprimersi su un quesito poco compreso, con la presunzione che il Paese, tutto ubbidiente alla domanda, ne desse una risposta ragionata, ma il Paese chiamato ad esprimersi era nella condizione la più lontana di sempre dalla politica, ove quest’ultima, tutta, non ha saputo scendere dai piani alti in cui si trovava e si trova, ai piani bassi dove stanno tutti i bisogni della gente, e a quei piani bassi una moltitudine mai così numerosa, ha preso l’occasione data loro, una scheda, per dire quel NO a tutto, e dare quel fortissimo segnale. Il NO era indirizzato a Renzi solo casualmente, il quale è caduto in quella trappola, ma il NO è stato quel che si dice un grido rivolto ai piani alti della politica, incapaci di scendere tra i bisogni, la quotidianità, i diritti, le sensibilità del popolo. Hanno pesato in larga quota su quel NO quel lavoro che ai giovani ancora manca, la diffusa malapolitica e la corruzione ancora dilagante, la eccessiva e poco spiegata alta attenzione per le banche, l’intreccio strettissimo, freno per l’economia, di due elementi, il potere e la burocrazia che si alimentano a vicenda, anche solo accordandosi: io, burocrate, ti lascio la scena, che è il tuo fronte del potere, tu, politico, lascia che il mio di potere mi permetta di campare.

E’ così che si genera l’incapacità di certe istituzioni locali a concludere e dare risposte alle attese anche con i fatti e non solo a parole.

Poi, certo, ha giocato a favore di quel NO quella insistita arroganza di tutti i capi partito, fin troppo chiara nello svelare la volontà di disegni egemonici fini a sé stessi, senza serie alternative alla proposta in campo; altro segnale di allontanamento del popolo dalle istituzioni.

Se a tutto questo sommiamo il grado di litigiosità che la classe politico partitica ci ha ammannito per mesi dagli schermi, creando un senso di disgusto tra la gente che pensa a problemi ben più seri, la “rivolta” del NO, seppure spesso irrazionale nel merito, è spiegata. Quante volte le nostre orecchie hanno colto il “rassegnato” messaggio: “i ‘en toeucc instes, i pensa apena per lur”.

E così il referendum ha spinto il Paese all’indietro; la protesta, pienamente comprensibile, non ha portato ad alcun risultato, nessun passo avanti che, forse, molto in piccolo, col SI avrebbe potuto aversi, segnando così una direzione di marcia futura, mentre oggi tutto si è bloccato.

A noi rimane solo l’auspicio che la classe partitica, dopo che si è trovata con un pugno di mosche in mano,  abbia imparato la lezione. Mai disperare, anche se l’orizzonte sembra fosco. E non è che le invocate nuove elezioni siano il toccasana, ci vorrebbe un miracolo. Intanto, giusto per cambiare, verso quel toccasana si parte litigando sulla scelta della legge elettorale, e la gente, che si presume voglia vedere la politica finalmente andare d’accordo, si irriterà nuovamente.

E allora?

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